domenica 25 febbraio 2018

La memoria infetta della polarizzazione fascismo/antifascismo





Conflitti, violenza politica e terrorismi innestano una ‘dinamica’ che il grande umanista Tzvetan Todorov (Memoria del male, tentazione del bene, 2001) riassume come segue: «quando gli avvenimenti vissuti dall’individuo o dal gruppo sono di natura eccezionale o tragica, il diritto di ricordare e di testimoniare diventa un dovere”. E aggiunge: “Nei paesi democratici, la possibilità di accedere al passato senza sottoporsi a un controllo centralizzato è una delle libertà più inalienabili, accanto alla libertà di pensare e di esprimersi. Essa è particolarmente utile per quanto concerne le pagine nere nel passato di questi paesi».

Dal dopoguerra in Italia le memorie dei diversi conflitti violenti sono entrati nelle agende politiche di organizzazioni diverse. Alcune, come quelle delle vittime del terrorismo, sono diventate veri e propri "imprenditori della memoria", per utilizzare il concetto coniato da Annalisa Tota (La città ferita, 2003). Le associazioni delle vittime, nonostante la divisione tra quelle che privilegiavano la memoria delle stragi nere e quelle delle stragi e attentanti individuali rossi, hanno trovato terreni comuni nella promozione dei diritti delle vittime e nella battaglia per la trasparenza dello Stato, contro i suoi segreti, coperture e depistaggi.

L’attività di salvaguardia della memoria condotta nei confronti delle vittime della violenza politica diffusa di quegli stessi anni di piombo - qualla praticata negli scontri di piazza ad opera di organizzazioni non clandestine, come Lotta Continua e il Fronte della Gioventù - ha avuto come attori, invece, gli eredi politici di tali organizzazioni. Non i familiari o le vittime superstiti, ma alcuni centri sociali di estrema destra e sinistra, con le loro cerimonie periodiche di omaggio ai vari ‘compagni’ o ‘camerati’ colpiti.

Il risultato è che l'attività di memoria presenta una dislocazione politica dell'associazionismo italiano in una mappa che vede la maggior parte dei soggetti distribuirsi sullo l'asse fascismo/antifascismo, oggi tornato attuale nella campagna elettore. Un elemento che polarizza l'opinione pubblica e che soggiace al dominio del risentimento: “memoria infetta” nella definizione calzante di Edgar Morin (Il vivo del soggetto", 1969).

Mentre la memoria delle vittime degli opposti terorrismi ha trovato una sintesi nel riconoscimento ufficiale in leggi e cerimonie di valore civile ed istituzionale, cioè una memoria sanata, almeno parzialmente dell'infezione; al contrario, la memoria di quelle della violenza ed estremismi di piazza sono rimaste assai più soggette a strumentalizzazioni politiche 'partigiane', cioè di parti militanti, ma anche militarizzabili e quindi prodromo di possibili nuove violenze.

Disinnestare questa polarizzazione che ciclicamente si presenta nell'agenda e nell'arena politica italiana è naturalmente possibile, ma occorre una volontà politica bipartisan, capace di sanare le ferite di un pezzo di storia, con la sua scia di sangue, non condivisa.

Non si tratta di equiparare fascismo e antifascismo, ma di superarli utilizzando un termine plurale per definire le derive europee del XX secolo che non vorremmo ripercorrere: i totalitarismi. Ad oltre 70 anni da Piazzale Loreto e a quasi 30 dal crollo del muro di Berlino, si potrebbe forse ampliare il carattere antifascista della nostra Costituzione, utilizzando il concetto caro a Simone Weil e Hannah Arendt: le due originali e coraggiose pensatrici che hanno fatto della comprensione della realtà a loro contemporanea, e dei regimi totalitari in particolare, l’argomento centrale delle loro analisi.


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