mercoledì 10 gennaio 2018

Fine legislatura senza jus soli né lotta alla radicalizzazione. Il perché.

Si evoca spesso l'interrogativo centrale del dibattito sulla lotta contro il terrorismo, cioè quello su quale sia «il prezzo della democrazia» che gli Stati e gli ordinamenti sono disposti a pagare nella difficile ma necessaria ricerca di un equilibrio tra istanze di sicurezza e istanze di libertà.
Si evoca ma poi o si limita a generici enunciati, o si svolge in ambiti accademici ristretti o in pubblicazioni dai prezzi proibitivi e in lingua inglese, col risultato che non giunge mai ai media e al grande pubblico.

Il caso recente più eclatante riguarda la mancata approvazione in Senato della riforma delle legge sulla cittadinanza. Approvata dall'Assemblea della Camera  il 13 ottobre 2015 (a. s. 2092) la proposta si concentrava sulla questione fondamentale della tutela dell'acquisto della cittadinanza da parte dei minori, apportando a tal fine alcune modifiche alla legge sulla cittadinanza (legge 5 febbraio 1992, n. 91). La novità principale del testo consisteva nella previsione di una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana per nascita (c.d. ius soli) e nell'introduzione di una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza in seguito ad un percorso scolastico (c.d. ius culturae).

Nel corso del dibattito in Parlamento, sui media e nelle manifestazioni pro o contro la riforma, non mi risulta che sia stato evidenziato che tale disegno di legge andasse a configgere seriamente con lo strumento perno delle politiche nazionali di lotta al terrorismo internazionale: le espulsioni amministrative. Cioè quelle deportazioni di individui privi della cittadinanza italiana ordinate dall'esecutivo, senza passare da nessuna verifica giudiziaria.

Proprio dallo stesso anno 2015 sono diventate lo strumento più pubblicizzato dai Ministri degli Interni per tranquillizzare la pubblica opinione, con il risultato che 147 persone sono state espulse dall'Italia senza processo e su base di oscuri e inverificabili indizi di "pericolosità sociale", da gennaio 2015 a marzo 2017.

Graph
Queste le espulsioni fino a Marzo 2017. Dai nuovi dati alla fine del 2017 le espulsioni sono state 105 (contro le 66 del 2016: incremento di circa il 60%!)


Vantaggi, limiti, lesione dei diritti umani ed effetti controproducenti di tale misura antiterrorismo sono illustrati in questo saggio del ricercatore Francesco Marone, qui, il quale conferma la scarsità di dibattito sul tema e precisa, nelle conclusioni, che: "Altri strumenti sono necessari, soprattutto a lungo termine. In particolare, vale la pena ricordare che, a differenza di molti altri paesi europei, l'Italia non ha ancora sviluppato programmi di contro-radicalizzazione e de-radicalizzazione a pieno titolo."

Già, anche la proposta di legge in materia di radicalizzazione (conosciuta come Pdl Dambruso/Manciulli qui) si è fermato al Senato priva di approvazione, in questo caso senza la protesta di nessuno, nè una riga sui giornali. Evidentemente 'nessuno' era consapevole che i due testi, di riforma della cittadinanza e le misure di prevenzione e contrasto alla radicalizzazione, erano due facce di quella stessa medaglia che si sarebbe scontrata con l'indiscusso metodo delle deportazioni.

(C'è da scommettere che in campagna elettorale il dibattito in merito non avrà alcun sviluppo...)

Nessun commento:

Posta un commento