domenica 8 gennaio 2017

Anticipazioni sulla strategia italiana di contrastro alla radicalizzazione

Un prima anticipazione dei dettagli della Relazione della Commissione di studio su fenomeno della radicalizzazione e dell estremismo jihadista, presentata al Governo il 5 gennaio scorso

  • da La Stampa del 07/01/2017.

Un Centro Nazionale sulla Radicalizzazione, denominato Cnr, da creare «in seno a Palazzo Chigi», composto da esperti, psicologi, assistenti sociali, forze dell’ordine. Seguendo l’esperienza di Paesi che già hanno una struttura simile, ci si potrebbe avvalere anche dell’aiuto di ex militanti. E poi venti Centri di Coordinamento della Radicalizzazione a livello regionale, Ccr, formati da un numero ridotto di membri (tra 5 e 8): radar sul territorio e punto di riferimento per chiunque colga segnali di radicalismo in un figlio, un amico, un vicino di casa.

È questa la proposta principale presentata al governo dalla Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista, istituita quattro mesi fa e incontrata ieri l’altro dal premier Gentiloni. Un’idea «altamente consigliabile», contenuta in una bozza riservata della relazione del gruppo di studio, che Palazzo Chigi e Viminale stanno valutando con molto interesse.

Per quanto i numeri della radicalizzazione nel nostro Paese non siano paragonabili a quelli di alcuni vicini europei (110 foreign fighter contro i 1500 francesi) «anche in Italia è presente una scena informale che, con vari livelli di intensità, adotta l’ideologia jihadista», si legge: non basta più il sia pur necessario contrasto tramite arresti ed espulsioni; servono anche, raccomandano i 19 esperti, politiche non repressive che prevengano la radicalizzazione.

Ecco allora la proposta: non solo l’invito a una «contro narrativa» (e magari alla creazione di un «portale multimediale gestito dalla Rai» con programmi di musica e sport capaci di veicolare messaggi di tolleranza e integrazione), ma anche una struttura di lavoro che abbia la sua centrale operativa direttamente a Palazzo Chigi, sede del governo, e da lì garantisca unità di intenti e coordinamento ai centri regionali. Ai quali spetta il compito più delicato: guadagnare la fiducia e fare rete con i soggetti locali - dalla scuola alle comunità islamiche - che possono venire a conoscenza di fenomeni di radicalizzazione, e essere per loro un referente. Per evitare quello che, racconta la relazione, successe tre anni fa nel Milanese, quando un paio di comunità per minori notarono segnali strani in due giovani originari del Marocco, ne parlarono a servizi sociali e Tribunale, ma, non avendo i ragazzi commesso reati, nulla si potè fare. Entrambi sono partiti per combattere in Siria con l’Isis, uno di loro è morto.

E che fare nel caso in cui un Centro regionale abbia una segnalazione? Nel percorso che la Commissione sottopone al governo, a quel punto bisogna individuare un mentore, una persona con «profonda conoscenza religiosa» capace di conquistare la fiducia del soggetto per distoglierlo dall’ideologia jihadista. Un lavoro lungo, ma non impossibile, come dimostra la storia di un olandese di origini marocchine deradicalizzato con l’aiuto di due mentori: oggi lui gira per incontri e seminari a raccontare la sua storia.

Questa, secondo la Commissione, la strada da affiancare a quella di polizia. Tutta da impostare, ma ritenuta necessaria. E, sottolineano gli esperti, dal costo «molto più basso di quello supportato per la normale attività investigativa, processuale e detentiva».

(Francesca Schianchi)

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