venerdì 2 gennaio 2015

"Se la sono cercata" o del victim blaming



"Se la sono cercata…"!
Questo il concetto ricorrente di moltissimi commenti sui social network sia nell'immediatezza del rapimento che a seguito del video diffuso a Capodanno che ritrae le due volontarie italiane rapite in Siria, Greta e Vanessa.
Molti poi giungono l'insulto, altri si preoccupano dei costi per il contribuente dell'eventuale pagamento del riscatto, altri parteggiano apertamente per i terroristi che le tengo sequestrate.
E' un meccanismo vecchio: lo si chiami victim blaming o doppia vittimizzazione. Funzionava già al tempo del rapimento Giacomo Metteotti, nel1924. Ha funzionato ai tempi di Aldo Moro (1978). Indimenticabili i casi di Giorgio Ambrosoli (Andreotti usò l'esatta dizione), ma quante altre volte: i contractors italiani in Irak, i reporter italiani rapiti in giro per il mondo. Negli anni '60 era di moda anche nelle aule di tribunale nei processi per stupro.
In sovrappiù, in Italia il fenomeno si arricchisce di un doppio binario: si usa biasimare la vittima a seconda della parte politica. Se sono di sinistra e il rapito è percepito come di destra, o viceversa, se sono di destra è il rapito viene percepito di sinistra.
Lo sforzo di intendere le vittime tutte uguali perché eguale è l'insensatezza e l'ingiustizia della violenza politica, ideologica, religiosa o di genere su di loro esercitata, è un passaggio culturale che ai più resta difficile compiere, ancora in questo inizio 2015. Non stiamo a ripetere il vetusto "pietà l'è morta", ma prendiamo atto di una diffusa deficienza di riflessione sulla violenza, trasversale a quasi tutte le aree politico culturali.

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