sabato 22 novembre 2014

Intervento workshop finale del progetto Counternarrative for Counterterrorism C4C





(saluti e ringraziamenti)

Partirei con una suggestione. Se l'esplosione di testimonianze delle vittime del terrorismo italiane, con i libri e documentari di o su di loro, ha coinciso con un periodo che ha visto approdare al Parlamento italiano la legge sui dritti delle vittime (2004) e l'istituzione della Giornata delle memoria a loro dedicata (2007), si potrebbe dire che progetti come questo, o quello di cui si occupa Stéphane Lacombe, entrambi promossi dalle associazioni italiana e francese, sono il frutto dell'istituzione di analoga giornata dedicata alle vittime del terrorismo varata dal Parlamento europeo un mese dopo la strage alla stazione di Atocha a Madrid del 2004 che ha aperto la strada ai successivi bandi della Commissione, in particolare della DG Home: quella che ha finanziato C4C.

La periodizzazione delle testimonianze e del loro ruolo potrebbe però avere anche una lettura diversa. Potrebbe infatti riecheggiare quanto occorso ai testimoni della Shoah. Seguendo il tracciato delineato da Annette Wieviorka, in L'età del testimone, da una prima fase nell'immediatezza dei fatti, peraltro con un impatto assai limitato sul grande pubblico e sugli studi storici, è seguita l'esplosione a seguito del processo Eichmann a Gerusalemme nel 1961 quando i testimoni cominciano ad acquisire uno status sociale preciso che è stato poi a sua volta stabilizzato ed alimentato da televisione e cinema, fino a giungere alla Visual History Foundation di Spielberg con il suo immenso archivio audiovisivo di interviste, ma passando da un altro processo storico, quello Papon in Francia del 1997, nel quale avviene il passaggio di testimone alla generazione successiva, quella delle figlie e dei figli.

Se osserviamo le vittime del terrorismo italiano possiamo notare molte analogie: un quantità scarsa di testimonianza nell'immediatezza dei fatti, quelle dirette di Sossi e di Lenci, la raccolta del giornalista Gigi Moncalvo, gli atti del convegno Aiviter cui seguirà, a fine anni '80, quello di Gemma Calabresi.

La disattenzione verso tali testimonianze è provata non solo dalla scarsissima circolazione di tali testi, ma anche da un fatto che abbiamo acclarato pochi giorni fa. Nel 1989 quando la RAI trasmette un dossier giornalistico di successo, e diventato poi libro, La notte della Repubblica di Sergio Zavoli, non appare nessuna testimonianza delle vittime, seppure la redazione della trasmissione ne avesse raccolte alcune in audio. Questa la scoperta recente in occasione dell'intervista a Vittorio Musso, ferito da Prima Linea nell'attacco alla SAA di Torino nel 1979, condotta da una ricercatrice danese.

Anche in questo caso abbiamo, come per i testi della Shoa, un decennio in cui non appaiono più testimonianze, gli anni '90. In quel decennio si affermano come unici testimoni degli anni di piombo esclusivamente gli ex terroristi, con la sola particolarità dell'uscita del film "La seconda volta" di Calopresti in cui per la prima volta il personaggio principale è una vittima del terrorismo (ispirata a Lenci e a Musso).

Le vittime riappaiono pubblicamente ad inizio anni 2000, dopo gli attentati dell'11 settembre e la comparsa delle nuove BR che tornano ad uccidere in Italia.

Lo stesso Sergio Zavoli con Olga D'Antona, inaugura la nuova stagione nel 2004, cui daranno grande impulso i documentari trasmessi da Giovanni Minoli su RAI Educational e Storia. Dal 2006 in avanti si susseguono i libri di Torregiani, la raccolta di interviste dei giornalisti Fasanella, Arditti e Telese. E poi i libri di figlie e figli: Calabresi, Tobagi e Casalegno, fino a quelli più recenti di Giralucci, Coco e Tarantelli, solo per citarne alcuni. Ai quali si aggiungono documentari, mostre e fiction Tv, come quella trasmessa a gennaio scorso dalla RAI, Gli anni spezzati.

A metà del decennio scorso, appaiono anche due riflessioni originali, da ricercatori provenienti dall'area di Lotta Continua, che per la prima volta si distaccano con coraggio dalla lettura benevola e giustificazionista per quanto riguarda fatti di cui sono stati soggetti nella loro militanza politica giovanile. Oltre alla generale denuncia della carenza di riflessione sull’uso della violenza in politica contro lo Stato e l’avversario politico, che ha caratterizzato le loro storie e quelle di quasi tutte le culture e sub-culture politiche italiane, in particolare sulle vittime di tale violenza i due autori fanno affermazioni che voglio integralmente riportare.

Luigi Manconi, sociologo e oggi presidente della Commissione parlamentare straordinaria sui diritti umani, nel suo saggio del 2008 Terroristi italiani. Le Brigate rosse e la guerra totale 1970-2008, proponendo un progetto di commissione parlamentare di studio e di alto livello che raccolga le storie dei vari attori di quelle vicende, in seno al quale dare alle vittime un ruolo pubblico "altissimo e determinante", scrive:

"Le vittime e i familiari delle vittime, dunque, come protagonisti di quell'opera di ricostruzione storico-politica, di cui rappresenterebbero l'elemento cruciale e ineludibile, il "fattore umano" non cancellabile. Da ciò potrebbe discendere una intensa funzione pedagogica, un forte ruolo testimoniale, un denso significato di ammonimento: e la continuità non dimettibile di un messaggio della memoria".

Anna Bravo, docente di Storia sociale all'Università di Torino e studiosa di Primo Levi, pochi anni prima, in una intervista alla rivista Lo Straniero, sottolinea:

"Quello che mi indigna è il fascino che i reduci del terrorismo sembrano esercitare sui media. Su di loro si scrivono libri, si fanno film, si pubblicano loro interviste. E sono per lo più povere cose, parole di aspiranti caporali. Sulle vittime invece, quasi silenzio. Eppure sono molto più “interessanti” Guido Rossa, Bachelet, Casalegno che non i loro assassini – dico interessanti proprio nel senso di narrativamente ricchi, non nel senso di umanamente nobili. Credo che in nessun altro periodo si sia dato tanto spazio ai “cattivi” e così poco alle loro vittime."

Il carattere pedagogico da una parte e la qualità narrativa dall'altra, vengo per la prima riconosciuti.

Nel frattempo però il ruolo delle testimonianze viene problematizzato in forma anche assai critica. E' la stessa storica francese Annette Wieviorka che pone i problema del contrasto tra la storia scritta dalle vittime/testimoni e quella scritta dagli storici, per quanto riguarda la Shoa. Certamente le testimonianze non sono storicamente precise e attendibili, ma come precisa Tzvetan Todorov, nella prefazione a I sommersi e i salvati:

"La semplice memoria del male non è sufficiente a prevenirne il ritorno; bisogna che il richiamo del male sia sempre accompagnato da una interpretazione e da istruzioni per l'uso; ed è proprio quello che ci offre Levi nei Sommersi e i salvati. Levi non si accontenta di rievocare gli orrori del passato, ma si interroga - a lungo, con pazienza - sui significati che tali orrori hanno oggi per noi".

Il valore della testimonianza ha quindi un peso pedagogico, non tanto dal punto di vista storico, quanto piuttosto come lettura del passato con gli occhi di oggi e di fronte alle sue sfide che ripresentano il male.

In occasione della VII Giornata Europea in ricordo delle Vittime del terrorismo, l’11 marzo 2011 a Bruxelles cercai di precisare:

"…se risulta assai sospetta la verità rivelata da un ex terrorista, anche quando questo si fosse pentito o dissociato dalla sua precedente attività omicida, pure l’attività di testimonianza delle vittime ha dei limiti verso la verità. E’ sempre Primo Levi che ci insegna che non spetta alle ex vittime di capire i propri assassini.

Il valore delle testimonianze delle vittime, in relazione alla necessità di fornire senso ai fatti, di svelarne la verità, risiede infatti nel terzo termine: il dialogo. La verità si svela cioè quando la testimonianza della vittima diventa dialogo con qualcuno che interroga o interagisce. Si tratta dunque di una pratica intersoggettiva e non referenziale, non lontana dal dialogo socratico.

Una pratica attiva di confronto che risponde, inoltre, a quel bisogno sociale diffuso che non si accontenta della giustizia, cioè di punire, ma che vuole scoprire perché il crimine è stato commesso e da quali cause sia stato generato per cercare di prevenirne altri."


Il ruolo educativo di tali testimonianze, che è stato al centro del progetto C4C, non è quindi né astratta ricerca di pacificazione, e neppure fissa commemorazione di fatti tragici, ma dinamico e concreto disvelamento di verità relative ma certamente indispensabili affinché la società civile, e in particolare i suoi giovani, possa condividere il senso delle ferite che il terrorismo ha inferto al suo corpo, aiutandola ad interpretare i fatti e le sfide dell'attualità, di cui discuteremo domani.

Al dialogo con gli studenti, abbiamo aggiunto anche "spunti interpretativi ed istruzioni per l'uso", per usare i termini di Tzvetan Todorov, che costituiscono la parte metodologica del progetto C4C, di cui ci parleranno Luca Toselli e Mirinella Principiano.


(Ora mi limiterò a presentare il percorso logico che ha sotteso l’articolazione del progetto C4C con l’ausilio di qualche slides).

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